Hikikomori: chi sono e come aiutarli a uscirne

Hikikomori

Chi sono gli Hikikomori? Come si possono aiutare gli Hikikomori terapia, cura e testimonianze per capire come sostenerli per uscire dalla loro situazione.

Hikikomori chi sono? Cosa vuol dire essere un Hikikomori

Il più delle volte siamo abituati, vuoi perché genitori vuoi perché adulti di turno, a ritenere sfaticati, senza passione e “svuotati” i giovani che passano ore al computer, chiusi in camera anziché fuori con gli amici: degli inetti 2.0. In Giappone questi giovani e giovanissimi – si tratta quasi sempre di ragazzi compresi tra i 14 e i 25 anni – che rifiutano il mondo esterno e si rifugiano nelle oasi digitali dei social network, lontani dalla comunità, sono chiamati hikikomori. Se vogliamo rendere in italiano hikikomori significato, sarebbe quello letterale dello “stare in disparte“.

È gli hikikomori fanno proprio questo: vivono negli interstizi del mondo, nelle loro camere, al buio dal resto della società. Isolarsi letteralmente da qualsiasi cosa li circonda e viene in piena solitudine, al chiuso, con un’unica finestra: lo schermo del proprio computer. Se è vero che il fenomeno degli hikikomori ha conosciuto la sua manifestazione più grande – per numeri e risonanza sociale – nei paesi giapponesi, non si può dire che il nostro paese ne rimanga escluso anzi: purtroppo ormai sono sempre più coloro che vengono a conoscenza di cosa c’è dietro hikikomori significato. Un fenomeno di reclusione volontaria che sta prendendo piede sempre di più tra i giovani italiani, diventando un nuovo ma potente disturbo psicologico che si va attestando come una delle patologie più gravi del nostro millennio.

Hikikomori cause: perchè iniziano a isolarsi

Dal Giappone all’Italia, senza però escludere altri paesi sviluppati in Europa e in America, gli hikikomori rappresentano letterlamente degli a-sociali: senza società, per scelta volontaria. Si chiudono nelle proprie camere, nelle proprie case, lasciando fuori il resto del mondo, adottando ritmi di vita completamente sballati, senza nessun punto di riferimento, schermati dal potere di attrazione del computer sempre accesso. Ma perché un adolescente, un ragazzo nel pieno della sua capacità espressiva, dovrebbe ridursi a vivere isolato, eremita di nuova generazione, reietto per scelta?

In molti casi si è soliti addurre come causa principale all’isolamento di un hikikomori la depressione esistenziale, a cui di regola viene affianca l’eccessiva pressione di realizzazione sociale con conseguente ansia da tutela della propria immagine e della propria reputazione: seguendo per quanto suggerito da Marco Crepaldi, fondatore dell’associazione Hikikomori Italia, uno dei principali fattori scatenanti dell’isolamento è il perfezionismo, la ricerca ossessiva della perfezione. A partire dagli anni ’90 infatti molti studi scientifici hanno sottolineato una crescente tendenza al perfezionismo da parte dei giovani, che avvertirebbero la società molto più esigente nei loro confronti rispetto a quanto avveniva con le generazioni precedenti: la tensione alla perfezione però si sarebbe tradotta in sempre più crescenti fenomeni di ansia e di crescente autocritica, che sfocia nella maggior parte dei casi in vergogna, depressione e autolesionismo. Sempre Crepaldi sottolinea che il perfezionismo si sia tradotto in una logica “tutto o niente”: se non si riesce a raggiungere quanto ci si è prefissati, qualsiasi cosa viene accreditata come fallimento o delusione, per cui l’esito più infelice di tale logica può essere quello della rinuncia totale all’agire, dal momento che, tolto l’obiettivo iniziale ormai perso, nulla ha più senso. Chiudersi in camera dunque come azione finale per rifiutare ogni altra azione puramente “consolatoria”.

Hikikomori adulti esistono?

Nel parlare di hikikomori, specialmente in Italia, si è soliti rifarsi alla prima diagnosi giapponese di questa patologia sociale – o meglio a-sociale – del nuovo millennio che vede quindi come vittime principalmente i ragazzi di sesso maschile, compresi indicativamente tra i 14 e i 25 anni di età. È ovvio che in questo modo si vadano a comprendere coloro che maggiormente sentono gravare sulle proprie spalle le aspettative delle generazioni più grandi, che si vedono colpiti di più dalla mancanza di prospettive future causata dalla crisi economica, ma credere che quindi l’hikikomori risponda unicamente a queste caratteristiche sarebbe un grave errore.

Si è infatti riscontrato che in Italia è presente un numero sempre crescente di hikikomori ragazze, molto più di quanto non avvenga in Giappone ad esempio. Ma anche la discrimine generazionale sembra iniziare a vacillare: se è infatti vero che il l’occhio del ciclone dell’urgano dell’isolamento vada a concentrarsi sui giovani in particolare tra i 14 e i 18 anni, queste differenziazione sembra permanere solo nel nostro paese, dove gli hikikomori si limiterebbero a una prima “acerba” generazione. In Giappone, dove il fenomeno si è diffuso già con l’avvento degli anni ’90, l’età media dei reclusi è molto più alta e si sono registrati tantissimi casi di hikikomori over 40, al punto tale da spingere i governi locali a garantire fondi di pensione minima a questi “isolati” al fine di permettergli di continuare a sostenersi anche dopo la morte dei genitori. Questo gravissimo precedente dovrebbe far molto preoccupare: anche in Italia potremmo progressivamente andare incontro a un innalzamento della soglia di hikikomori con gravi ripercussioni sociali e generazionali.

Hikikomori in Italia: quanti sono 

È indubbio che il disturbo degli hikikomori si stia rivelando progressivamente come una delle patologie sociali più connotati del nostro millennio, eppure si fa ancora fatica a parlarne in termini di disturbo psicologico riconosciuto a livello internazionale. Nel DSM, ovvero il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quella degli hikikomori è infatti ancora valutata come sindrome culturale giapponese: una importante limitazione che rischia di far sottovalutare un fenomeno e una piaga sociale di grande rilevanza, in molti paesi fuori dai confini giapponesi, Italia in primis.

Stando a quanto riporta Hikikomori Italia, associazione fondata da Marco Crepaldi nata con la volontà di essere da supporto alle ragazzi hikikomori e alle loro famiglie e di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’entità di questo fenomeno, nel nostro paese si possono registrare 100 mila casi di questo disturbo, che purtroppo potrebbero aumentare come sta accadendo in altri paesi economicamente sviluppati in tutto l’Occidente. Anche in Italia dunque sono sempre più i giovani che decidono di auto-escludersi dal mondo, rinchiudendosi nel buio delle loro camere, illuminati solo dal schermo di un computer: come sottolineano però gli articoli di Hikikomori Italia però, il nostro paese ha un triste primato rispetto al Giappone. Se nel Sol Levante infatti si può parlare degli hikikomori come di un fenomeno esclusivamente maschile, da noi invece il numero delle hikikomori ragazze accenna a fare discreta concorrenza a quello dei ragazzi, con un rapporto 30 a 70.

Hikikomori cura e terapia: come funziona

Hikikomori dunque implica una condizione di estremo disagio sociale, un’inadeguatezza che porta all’isolamento, una chiusura drastica vista come sola fonte di protezione. Tutto comincia da una grande pressione sociale che viene sommata alla tetra crisi economica, al crollo di valori fondamentali e certezze, oltre che all’essere acuita dalla solitudine imposta il più delle volte dalla condizione digitale. La causa scatenante della condizione hikikomori è, come si diceva, la tensione alla perfezione, alla cura dell’immagine, all’arrivare a un confronto che ci sopraelevi rispetto a chi ci circonda: e bacino di questi elementi è, come sempre, l’ambiente scolastico. Hikikomori Italia non a caso sostiene che i primi interventi di sensibilizzazione e di approccio al disagio hikikomori devono essere fatti proprio nelle scuole, perché è qui che possono manifestarsi i primi sintomi ed è qui che più prontamente possono agire, in simbiosi, il corpo insegnanti e i genitori.

Nell’affrontare senza censure il problema degli hikikomori, con la volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica, Marco Crepaldi non parla mai di malattia, e quindi non menzioni mai una cura: «L’hikikomori non va curato ma supportato» scrive negli articoli del suo blog. Il fondatore di Hikikomori Italia tiene a sottolineare che chiunque si renda conto che una persona accanto a lui sia un hikikomori deve muoversi come un padre che insegna la figlio ad andare in bicicletta, cercando di farlo camminare da solo senza mai abbandonarlo completamente. Suggerendo una serie di comportamenti consigliati, Crepaldi inserisce come fondamentali non solo il cercare di allentare la pressione sociale avvertita da un hikikomori ma anche la volontà di responsabilizzarlo, trattarlo da pari a pari, rendendolo conscio dei suoi comportamenti e focalizzandosi sul fatto che il nostro fine ultimo è il loro benessere, non la diretta ripresa della normalità.

Hikikomori testimonianze di chi ne è uscito

La triste realtà hikikomori deve quindi essere affrontata anche in Italia e una bella dimostrazione di ascolto e aiuto nel cercare di superare questo disturbo sociale ci viene offerta dall’Associazione Hikikomori Italia, gestita da Marco Crepali. Hikikomori Italia non punta solo a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno hikikomori e su come gestire questa forma di disagio psicologico prima che sociale, ma ha nel tempo creato un vero e proprio punto di ritrovo, punto di approdo, per ragazzi e famiglie che sono o sono stati toccati dal dramma dell’isolamento volontario.

Hikikomori Italia offre un grandissimo sostegno alle famiglie in diversi modi. Da un lato guarda ai genitori attraverso un gruppo Facebook, Hikikomori Italia – Genitori, che nasce come progetto di mutuo aiuto dove scambiare le proprie opinioni, confrontare le proprie esperienze e sostenersi a vicenda. Dall’altro, ovviamente, si rivolge direttamente ai ragazzi e le ragazze hikikomori grazie a un Forum attivo sul sito dell’Associazione. Qui vige un regime di auto-moderazione: sono i ragazzi a parlare ai ragazzi senza alcun intermediario, pertanto a loro è richiesto un grande impegno nell’affrontare con rispetto le problematiche di tutti gli altri hikikomori. Molto spesso, forum e chat, danno anche messaggi di speranza attraverso storie dal finale positivo di chi, nonostante le difficoltà, è riuscito ad uscire dall’isolamento. Come Luca, un ragazzo di 25 anni che per due anni ha “vissuto” esclusivamente attraverso lo schermo del suo computer giocando a World of Wardcraft: niente scuola, ne amici, ne rapporti con il mondo esterno, in un isolamento che, come ha ammesso, è diventata una cura alla pressione sociale. Ora che ne è fuori sorride al suo futuro e non sa se si è mai riconosciuto come hikikomori, ma ha capito che la chiave per uscire dall’isolamento è sempre stata nelle sue mani: bastava solo trovare il coraggio di inserirla nella serratura e spingere la maniglia.

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