Il pianto di un neonato modifica il cervello delle mamme. Ecco come [VIDEO]

Il pianto del bambino , e soprattutto quello di un neonato, è in grado di modificare il cervello dei genitori: secondo una recente ricerca effettuata dall’università di Toronto, il pianto di un bambino può influenzare la vita quotidiana di un adulto, modificando il cervello nei processi neurali e cognitivi. Un team di scienziati canadesi ha effettuato un test su 12 volontari a cui è stato chiesto di identificare in maniera rapida diverse parole con un colore, indipendentemente dal significato della parola stessa, dopo aver sentito un bambino piangere o ridere.

Durante l’esecuzione del test, i 12 volontari sono stati monitorati con l’elettroencefalogramma. Secondo quanto emerso dallo studio, quando il soggetto ascolta il pianto di un bambino la sua attenzione nel rispondere al test risulta minore e il processo cognitivo effettuato per rispondere al test è più grande; al contrario quando il bimbo ride l’attenzione verso il test è maggiore. Questo accade perché il pianto del bambino influenza negativamente il cervello rendendo più lenta l’elaborazione del processo cognitivo.

Secondo gli psicologi, durante il pianto del bambino, nel cervello scatta un conflitto tra la necessità di correre verso il bimbo che piange e la volontà di portare a termine il test; il cervello si ritrova dunque a decidere qual è la scelta da effettuare e ciò comporta un rallentamento del processo cognitivo. Anche se sul momento il pianto del bambino distoglie l’attenzione da ciò che stiamo facendo, col passare del tempo stimola il cervello a diventare più veloce nel prendere delle decisioni: in poche parole le persone che convivono con il pianto del bambino e riescono a gestire la quotidianità allenano il cervello a diventare multitasking.

Secondo Joanna Dudek, la ricercatrice a capo della ricerca, i genitori si trovano ogni giorno a dover affrontare queste situazioni; dalla ricerca emerge che il conflitto cognitivo del cervello è ciò che insegna ai genitori come focalizzare l’attenzione rendendoli più abili a destreggiarsi tra il bambino e le necessità del momento. Tutto ciò porta allo sviluppo di anticorpi che rendono il cervello più abile nel ragionare in situazioni difficili.

Come agisce il pianto di un bambino sul cervello di una neomamma?

Le aree cerebrali responsabili della risposta comportamentale della madre quando sente piangere il neonato sono state identificate da un gruppo di ricercatori dell’Università di Trento in collaborazione con altri centri di ricerca, che ne riferiscono in un articolo sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.

Lo studio – basato anche su lavori precedenti che hanno mostrato che il cervello delle donne e dei maschi rispondono in modo diverso al pianto infantile – potrà rivelarsi utile nella prevenzione delle situazioni in cui la risposta materna al pianto del bambino non è benevola, ma di esasperazione come nei casi di depressione o di dipendenza da farmaci o sostanze.

In una prima parte della ricerca, Paola Venuti, Nicola De Pisapia e colleghi hanno condotto un’estesa analisi del comportamento delle madri in risposta al pianto, analisi che ha interessato 684 madri di 11 paesi (Argentina, Belgio, Brasile, Camerun, Francia, Kenya, Israele, Italia, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti), e ha permesso di confermare l’uniformità della reazione, indipendentemente dal contesto culturale. In particolare, la prima cosa che fanno tutte le madri è prendere in braccio il bambini e parlargli, ricorrendo solo in seguito ad altre possibili strategie, come distrarli o nutrirli.

Attraverso studi di risonanza magnetica funzionale sull’attività cerebrale di un altro gruppo di donne – in questo caso di tre paesi: Italia, Stati Uniti e Cina – ricercatori hanno poi rilevato che il pianto del bambino attiva alcune specifiche aree cerebrali, e in particolare l’area motoria supplementare, associata all’intenzione di muoversi e di parlare; le regioni frontali inferiori (area di Broca), che sono coinvolte nel linguaggio; e le regioni temporali superiori, che sono collegate all’elaborazione del suono.

Secondo i ricercatori, un’attivazione alterata di questi circuiti in risposta al pianto del neonato potrebbe compromettere la capacità della madre di mettere in atto comportamenti adeguati alle esigenze del bambino, se non addirittura di innescare reazioni negative.

Per questo, il ricorso a tecniche di imaging cerebrale potrebbe permettere di identificare i soggetti a rischio di comportamenti inadeguati così da sensibilizzare con un intervento precoce i genitori e migliorare la loro comprensione dell’importanza e del significato del pianto infantile.

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