I neonati piangono di notte perchè non vogliono un fratellino. Lo dice la scienza.

Eccoci qui con un’altra scoperta davvero sensazionale che ci aiuta a comprendere il perché i bambini piangono durante la notte.

Secondo un recente studio dell’università di Harvard, si tratta di una sorta di forma di “autodifesa” che la natura ha programmato per uno scopo preciso: in questo modo, obbligando papà e mamma a curarsi del piccolo, impediscono ai genitori concepire un possibile antagonista, ovvero un fratellino. Si tratta, insomma, dello stesso motivo per cui l’ allattamento al seno provoca l’amenorrea (impedendo un nuovo concepimento – anche se in realtà è possibile rimanere incinta anche durante l’allattamento).

Il bambino piangerebbe di notte per monopolizzare l’attenzione della madre, stancarla a tal punto da non farle passare neanche per l’anticamera del cervello l’idea di avere un altro figlio.

Secondo l’autore della ricerca, il professor David Haig, i neonati sono programmati proprio per questo: “I risvegli notturni aumentano nella seconda metà del primo anno di vita, e la loro frequenza è maggiore con i bambini che vengono allattati al seno; e una maggiore frequenza e intensità di allattamento al seno è a sua volta associata con una prolungata infertilità”.

Si tratterebbe, insomma, di un modo per prolungare l’amenorrea. Tanto che, secondo lo studio del biologo evolutivo, “la selezione naturale ha conservato questo comportamento dei bambini che contrasta le funzioni ovulatorie nelle madri proprio perché i neonati beneficiano di un ritardo nella nascita successiva. E la stanchezza delle madri può essere vista, allo stesso modo, come una parte integrante della strategia per estendere l’intervallo tra le nascite”.

Uno studio condotto da alcuni ricercatori giapponesi dell’Università del sacro Cuore di Tokio avrebbe scoperto che i neonati sono perfettamente in grado di simulare il pianto solo per attirare l’attenzione dei loro genitori.

Lo studio, i cui risultati sono apparsi a dicembre scorso sulla rivista specializzata Infant, ha preso in considerazione i comportamenti di due bambini di 7-9 mesi nel corso di 68 episodi di pianto. L’obiettivo degli scienziati nipponici era quello di dimostrare (oppure no) che il pianto del neonato non sempre è legato ad un bisogno primario, cioè alla propria sopravvivenza.