Quando è impossibile dare un giudizio

Esiste un confine tra quello che la medicina può arrivare a fare, esiste un confine tra il voler tenere in vita una persona ad ogni costo o decidere di lasciarla morire. Questo confine assume un senso diverso quando il protagonista è un bambino di neanche un anno che nella sua brevissima vita ha già dovuto affrontare battaglie insormontabili.

Charlie è un bambino che è stato colpito da una malattia degenerativa, ovver0 la depressione del dna mitocondriale, una patologia estremamente rara che colpisce le cellule causando un progressivo indebolimento dei muscoli e degli organi vitali, nel caso del neonato in questione del sistema nervoso. Il bambino è una delle 16 persone nel mondo che ne sono affette.

Una malattia che data la sua rarità non ha possibilità di cura se non sperimentali, che vengono attuate in pochissime strutture e dai costi insormontabili.

I genitori di Charlie sono riusciti a raccogliere i soldi ma è stata negata loro la possibilità di sperimentare questa cura che in realtà non si rivolge ai malati come Charlie: «Per la variante RRM2B non si è mai trovata una cura. I genitori cercano sempre una speranza – osserva l’esperto – , magari hanno letto su internet di queste terapie e si sono convinti a tentare». I genitori di Charlie volevano provare comunque, ma i giudici hanno confermato la verità scientifica affermata dai medici: «Riteniamo di aver esaurito tutte le opzioni di trattamento disponibili» e hanno scritto nella sentenza: «Non ci sono ragionevoli margini di speranza». Nel corso dei cinque giorni di udienze per valutare il caso erano stati raccolti i pareri di specialisti internazionali e tutti erano d’accordo sul fatto che la qualità della vita in queste condizioni sarebbe stata troppo bassa per il neonato. Anche la corte d’appello ha confermato la sentenza.

La battaglia dei genitori è assolutamente comprensibile, ma forse in alcuni casi credo sia doveroso che qualcuno prenda una decisione per noi che non abbiamo certo la lucidità di farlo se troppo coinvolti. Quella del bambino era una non vita, quello che avevano proposto come possibile alternativa alla sua condizione attuale era una terapia sperimentale. Da genitore anche io avrei preso in considerazione tutte le strade possibili anche se questo significava intraprendere un viaggio senza lieto fine. Ma la mia domanda è “quanto questo bambino stava soffrendo? Quanto era giusto farlo soffrire ancora sapendo che comunque non avrebbe mai vissuto una vita non attaccato a delle macchine?”.

I genitori hanno fatto quello che tutti i genitori avrebbero fatto, ma forse chi ha preso la decisione di staccare le macchine lo ha fatto con la piena consapevolezza di non portare avanti un’ illusione.

Per il resto è davvero tutto assolutamente devastante.